
Chi sono
Sono un artista che trasforma l’immaginario pop della mia infanzia – Gundam, Goldrake, Doraemon, Cookie Monster – in icone ferite, malinconiche eppure potenti. Attraverso il marchio CLAG!, intreccio autobiografia e mito collettivo: i vicoli di Genova, le cicatrici dei robot, le rovine urbane diventano simboli universali di fragilità e resistenza.
Il mio lavoro nasce come rito personale, ma si apre a tutti: un pantheon urbano dove l’infanzia spezzata incontra la città ferita, per raccontare che dietro ogni rovina c’è una nuova forza.
Presentazione opere
CLAG! – L’infanzia rovinata che diventa mito urbano
L’opera di Carlo si muove su un confine delicato e affascinante: quello tra autobiografia e mito collettivo. Attraverso il marchio e il suono onomatopeico CLAG!, l’artista ha creato un universo riconoscibile dove il linguaggio della cultura pop incontra la crudezza della vita reale, e dove i ricordi personali diventano simboli universali.
I protagonisti sono figure che appartengono all’immaginario condiviso di un’intera generazione: Gundam, Goldrake, Doraemon, Cookie Monster. Ma qui non sono eroi invincibili o mascotte rassicuranti: vengono trasformati in creature ferite, consumate, malinconiche. Robot con cicatrici, mostri resi teneri dalla loro solitudine, idoli dell’infanzia costretti a confrontarsi con la realtà della rovina.
Il tutto avviene dentro una scenografia precisa: Genova. Non una Genova da cartolina, ma quella dei vicoli malfamati, delle scritte sui muri, delle architetture industriali consumate dal tempo, della Lanterna che diventa un appoggio per un gigante, di San Benigno trasformato in set surreale. La città non è solo sfondo: è protagonista, archetipo urbano che racconta al tempo stesso intimità e collettività, radici e resistenza.
Questa tensione tra fragilità e potenza è il cuore pulsante del progetto. Ogni immagine porta dentro una contraddizione: l’infanzia spezzata e la nostalgia, il degrado urbano e la possibilità di bellezza, l’eroe invincibile trasformato in simbolo vulnerabile. È un lavoro che nasce come rito privato di elaborazione – un modo per dare forma al dolore e alla memoria – ma che si apre inevitabilmente a tutti, perché quelle figure e quei luoghi appartengono anche agli altri.
CLAG! diventa così un marchio, un graffito, una firma, ma soprattutto un linguaggio. È un suono che evoca caduta, urto, frattura, e allo stesso tempo resistenza, energia, vitalità. Un’onomatopea che non è solo autobiografia, ma manifesto collettivo.
Il risultato è una sorta di pantheon urbano contemporaneo, dove i robot feriti, i mostri malinconici e i cartoni animati sfigurati convivono con i muri graffiati dei caruggi e le atmosfere dure delle periferie. Un mondo che non consola, ma svela, e che chiede allo spettatore di riconoscersi: chi non ha avuto un’infanzia segnata da crepe, chi non ha visto la propria città come specchio di sé stesso, chi non ha cercato nella rovina una forma di verità?
In questo senso, l’opera di Carlo non è soltanto personale: è universale, perché racconta con potenza visiva una condizione condivisa. La malinconia diventa estetica, la vulnerabilità diventa forza, la rovina diventa bellezza.
CLAG! è tutto questo: un suono, un simbolo, un immaginario che trasforma la memoria in arte, la ferita in mito, la città in palcoscenico.